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Piccola Antologia di Poesia 🌊 con Immagini e GIF

Peso Qual è il peso di un bombo? di un’ape? di una farfalla? Ogni fiore lo sa. (poesia di Giancarlo Consonni dal titolo PESO)

La Piccola Antologia di Poesia di Joyful Journey raccoglie in modo sparso alcune poesie molto belle. Buona lettura.

Articolo in manutenzione, ci scusiamo per il disordine…

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Sandro Penna

[Felice chi è diverso]

Felice chi è diverso
essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.

Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune. (poesia di Sandro Penna)

[Esco dal mio lavoro tutto pieno]

Esco dal mio lavoro tutto pieno

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di aride parole. Ma al cancello

hanno posto gli dèi per la mia gioia

un fanciullo che giuoca con la noia.

[Io vivere vorrei addormentato]

Io vivere vorrei addormentato
entro il dolce rumore della vita.

Io vivere vorrei addormentato entro il dolce rumore della vita (Poesia di Sandro Penna)

[L’aria di primavera]

L’aria di primavera
invade la città.
Ai fanciulli la sera
cresce un poco l’età.

L'aria di primavera invade la città. Ai fanciulli la sera cresce un poco l'età. (Poesia di Sandro Penna)

[Il mare è tutto azzurro.]

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

[Forse la giovinezza è solo questo]

Forse la giovinezza è solo questo
perenne amare i sensi e non pentirsi.

Giancarlo Consonni

Colazione


amo la colazione.
E non solo la prima:
la seconda,
la terza…

Vorrei che l’inizio del giorno
non finisse mai.

Sì amo la colazione. E non solo la prima: la seconda la terza… Vorrei che l’inizio del giorno non finisse mai. (poesia di Giancarlo Consonni dal titolo Colazione)

Peso

Qual è il peso di un bombo?
di un’ape?
di una farfalla?

Ogni fiore lo sa.

Peso Qual è il peso di un bombo? di un’ape? di una farfalla? Ogni fiore lo sa. (poesia di Giancarlo Consonni dal titolo PESO)

Gianni Rodari

Dopo la pioggia

Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

Eugenio Montale

[Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale]

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. (Versi di Eugenio Montale Poesia)

Incespicare (Satura)

Incespicare, incepparsi
è necessario
per destare la lingua
dal suo torpore.
Ma la balbuzie non basta
e se anche fa meno rumore
è guasta lei pure. Così
bisogna rassegnarsi
a un mezzo parlare. Una volta
qualcuno parlò per intero
e fu incomprensibile. Certo
credeva di essere l’ultimo
parlante. Invece è accaduto
che tutti ancora parlano
e il mondo
da allora è muto.

Gabriele D’Annunzio

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.

E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.

Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.

Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

Cristina Ocampo

[I delfini non giocano tra le onde]

I delfini non giocano tra le onde
come la gente pensa.
I delfini si addormentano andando a fondo.
Cosa cercano? Non lo so.
Quando toccano il fondo
si svegliano all’improvviso
e risalgono perché il mare è molto profondo
e quando salgono cosa cercano? Non lo so.
E vedono il cielo e gli ritorna il sonno
e di nuovo scendono addormentati,
e ancora toccano il fondo del mare
e si svegliano e riprendono a salire.
Così sono i nostri sogni.

Alda Merini

[Ascoltavo la pioggia]

Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quale fragile ardore
sillabava e moriva.

L’infinito tendeva
ori e stralci di rosso
profumando le pietre
di strade lontane.

Mi abitavano i sogni
odorosi di muschio
quando il fiume impetuoso
scompigliava l’oceano.

Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quanti nastri di strade
annodavano il cuore.

E la pioggia piangeva
asciugandosi al vento
sopra tetti spioventi
di desolati paesi.

Federico Garcia Lorca

La pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una sonnolenza rassegnata e amabile,
una musica umile si sveglia con lei
e fa vibrare l’anima addormentata del paesaggio.
[…]

La pioggia

La pioggia ha un vago segreto di tenerezza,
una vaga sonnolenza rassegnata e amabile,
si desta con lei un’umile musica
che rende vibrante lo spirito addormentato del paesaggio.

È un bacio azzurro che la Terra accoglie,
il mito primitivo che torna a realizzarsi.
Il contatto ormai freddo dei vecchi cielo e terra
con un clima mite di sere interminabili.

È l’aurora del frutto. Quella che ci dà i fiori
e ci unge del santo spirito dei mari.
Quella che diffonde vita sulle sementi
e nell’anima tristezza di qualcosa di vago.

La nostalgia terribile di una vita perduta,
il fatale sentimento di esser nati tardi,
o l’inquieta illusione di un impossibile domani
con l’inquietudine prossima del colore della carne.

L’amore si ridesta nel suo grigio ritmo,
il nostro cielo interiore ha un trionfo di sangue,
ma il nostro ottimismo si muta in tristezza
vedendo le gocce morte sopra i vetri.

Sono le gocce: occhi di infinito che guardano
il bianco infinito che fu per loro madre.

Ogni goccia di pioggia tremula sul vetro sporco
lascia divine ferite di diamante.
Sono poeti dell’acqua che hanno visto e meditano
ciò che la massa dei fiumi non sa.

Oh pioggia silenziosa, senza tormente né venti,
pioggia calma e serena di squilla e dolce luce,
pioggia buona e pacifica, tu sei quella vera
che scende amorosa e mesta sulle cose!

Oh pioggia francescana che porti con le gocce
anime di chiare fonti e umili sorgenti!
Quando scendi sui campi lentamente
apri coi tuoi suoni le rose del mio petto.

Il canto primitivo che sussurri al silenzio
e la storia sonora che racconti alle fronde
li commenta piangendo il mio cuore deserto
su un nero e profondo pentagramma senza chiave.

La mia anima è triste di pioggia serena,
rassegnata di tristezza di cose irrealizzabili,
e il mio cuore mi impedisce di ammirare
una stella che s’accende all’orizzonte.

Oh pioggia silenziosa che gli alberi amano
e sei per la pianura dolcezza di emozioni;
concedi all’anima le stesse nebbie e risonanze
che poni nello spirito del paesaggio addormentato!

Patrizia Cavalli

[Se di me non parlo]

Se di me non parlo
e non mi ascolto
mi succede poi
che mi confondo.

[Quante tentazioni attraverso]

Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.

Una tra le più belle poesie di Patrizia Cavalli riportata per intero; la silhouette di un gatto alza la zampa. La poesia: "Quante tentazioni attraverso nel percorso tra la camera e la cucina, tra la cucina e il cesso. Una macchia sul muro, un pezzo di carta caduto in terra, un bicchiere d’acqua, un guardar dalla finestra, ciao alla vicina, una carezza alla gattina. Così dimentico sempre l’idea principale, mi perdo per strada, mi scompongo giorno per giorno ed è vano tentare qualsiasi ritorno."

[La pioggia mi riporta]

La pioggia mi riporta
i pezzi dispersi
degli amici, spinge in basso i voli
troppo alti, dà lentezza alle fughe e chiude
al di qua delle finestre finalmente
il tempo.

[Per riposarmi]

Per riposarmi
mi pettino i capelli,
chi ha fatto ha fatto
e chi non ha fatto farà.

[Dietro la bottiglia]

Dietro la bottiglia
i baffi della gatta,
le referenze
le darò domani.
Ora mi specchio
e mi metto il cappello,
aspetto visite aspetto
il suono del campanello.
Occhi bruni belli e addormentati…
Ma d’amore
non voglio parlare,
l’amore lo voglio
solamente fare.

Giorgio Caproni

Prima luce, Poesia di Giorgio Caproni Lattiginosa d’alba nasce sulle colline, balbettanti parole ancora infantili, la prima luce. La terra, con la sua faccia madida di sudore, apre assonnati occhi d’acqua alla notte che sbianca. (Gli uccelli sono sempre i primi pensieri del mondo).

Prima luce

Lattiginosa d’alba
nasce sulle colline,
balbettanti parole ancora
infantili, la prima luce.

La terra, con la sua faccia
madida di sudore,
apre assonnati occhi d’acqua
alla notte che sbianca.

(Gli uccelli sono sempre i primi
pensieri del mondo).

 

Questa poesia è disponibile anche come GIF animata.

Ritorno

Sono tornato là
dove non ero mai stato.
Nulla, da come non fu, è mutato.
Sul tavolo (sull’incerato
a quadretti) ammezzato
ho ritrovato il bicchiere
mai riempito. Tutto
è ancora rimasto quale
mai l’avevo lasciato.

Giovanni Testori

Ti sei intromessa
tra il suo bacio ed il mio
orrenda lingua di Dio.

Edith Brück

Nascita

Mia madre sentendo lo stimolo
raggiunse il gabinetto in fondo al cortile
e spinse spinse sempre più forte
data la sua tortuosa stitichezza.
«È come partorire» ripeteva a se stessa
e spinse spinse sempre più forte
e con la fronte larga grondante di sudore
con gli occhi verdeazzurri in lacrime
con le vene gonfie sul collo bianco
mai sfiorato da gioielli o affini.
Il fazzoletto dal capo le scivolò dietro
lasciando intravedere i suoi capelli neri,
con le mani teneva il ventre grosso con me dentro,
per riaggiustare il fazzoletto sul capo
da buona ebrea ortodossa abbandonò il ventre
e intanto spinse spinse sempre più forte,
ne seguì un grido un lamento prolungato
mentre la mia testa sfiorava il pozzo pieno di merda.
La vicina di casa affaccendata
accorse in suo aiuto e così nacqui io.
Per gli zingari m’attendeva un futuro fortunato
per mio padre ero un’altra bocca da sfamare
per mia madre una disgrazia inevitabile
per i poveri coniugi religiosi che fanno l’amore
un segno di pace dopo mesi e mesi di liti
per i miei cinque fratelli non sette
(fortunatamente due erano morti piccolissimi)
un giocattolo vero che strillava
succhiava i capezzoli grinzosi
s’aggrappava alla pelle dei seni vuoti della mamma
una madre sottoalimentata come le madri
d’Asia d’Africa d’India d’America
del Sud o del Nord, di ieri di oggi di domani…

Elsa Morante

Minna la siamese

Ho una bestiola, una gatta: il suo nome è Minna.
Ciò ch’io le metto nel piatto, essa mangia,
e ciò che le metto nella scodella, beve.

Sulle ginocchia mi viene, mi guarda, e poi dorme,
tale che mi dimentico d’averla. Ma se poi,
memore, a nome la chiamo, nel sonno un orecchio
le trema: ombrato dal suo nome è il suo sonno.

Gioie per dire, e grazie, una chitarretta essa ha:
se la testina le gratto, o il collo, dolce suona.
Se penso a quanto di secoli e cose noi due divide,
spaùro. Per me spaùro: ch’essa di ciò nulla sa.

Ma se la vedo con un filo scherzare, se miro
l’iridi sue celesti, l’allegria mi riprende.
I giorni di festa, che gli uomini tutti fan festa,
di lei pietà mi viene, che non distingue i giorni.

Perché celebri anch’essa, a pranzo le do un pesciolino;
né la causa essa intende: pur beata lo mangia.
Il cielo, per armarla, unghie le ha dato, e denti:
ma lei, tanto è gentile, sol per gioco li adopra.

Pietà mi viene al pensiero che, se pur la uccidessi,
processo io non ne avrei, né inferno, né prigione.
Tanto mi bacia, a volte, che d’esserle cara io m’illudo,
ma so che un’altra padrona, o me, per lei fa uguale.

Mi segue, sì da illudermi che tutto io sia per lei,
ma so che la mia morte non potrebbe sfiorarla.

Jolanda Insana

(Sciarra amara)

pupara sono
e faccio teatrino con due soli pupi
lei e lei
lei si chiama vita
e lei si chiama morte
la prima lei percosìdire ha i coglioni
la seconda è una fessicella
e quando avviene che compenetrazione succede
la vita muore addirittura di piacere

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