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Gente che non capisce | Poesia di Cesare Pavese

Pubblichiamo per esteso la poesia Gente che non capisce, di Cesare Pavese, contenuta in Lavorare stanca (1936).

Gente che non capisce

Sotto gli alberi della stazione si accendono i lumi.

Gella sa che a quest’ora sua madre ritorna dai prati

col grembiale rigonfio. In attesa del treno,

Gella guarda tra il verde e sorride al pensiero

di fermarsi anche lei, tra i fanali, a raccogliere l’erba.

 

Gella sa che sua madre da giovane è stata in città

una volta: lei tutte le sere col buio ne parte

e sul treno ricorda vetrine specchianti

e persone che passano e non guardano in faccia.

La città di sua madre è un cortile rinchiuso

tra muraglie, e la gente s’affaccia ai balconi.

Gella torna ogni sera con gli occhi distratti

di colori e di voglie, e, spaziando dal treno,

pensa, al ritmo monotono, netti profili di vie

tra le luci, e colline percorse di viali e di vita

e gaiezze di giovani, schietti nel passo e nel riso padrone.

 

Gella è stufa di andare e venire, e tornare la sera

e non vivere né tra le case né in mezzo alle vigne.

La città la vorrebbe su quelle colline,

luminosa, segreta, e non muoversi più.

Così, è troppo diversa. Alla sera ritrova

i fratelli, che tornano scalzi da qualche fatica,

e la madre abbronzata, e si parla di terre

e lei siede in silenzio. Ma ancora ricorda

che, bambina, tornava anche lei col suo fascio dell’erba:

solamente, quelli erano giochi. E la madre che suda

a raccogliere l’erba, perché da trent’anni

l’ha raccolta ogni sera, potrebbe una volta

ben restarsene in casa. Nessuno la cerca.

 

Anche Gella vorrebbe restarsene, sola, nei prati,

ma raggiungere i più solitari, e magari nei boschi.

E aspettare la sera e sporcarsi nell’erba

e magari nel fango e mai più ritornare in città.

Non far nulla, perché non c’è nulla che serva a nessuno.

Come fanno le capre strappare soltanto le foglie più verdi

e impregnarsi i capelli, sudati e bruciati,

di rugiada notturna. Indurirsi le carni

e annerirle e strapparsi le vesti, così che in città

non la vogliano più. Gella è stufa di andare e venire

e sorride al pensiero di entrare in città

sfigurata e scomposta. Finché le colline e le vigne

non saranno scomparse, e potrà passeggiare

per i viali, dov’erano i prati, le sere, ridendo,

Gella avrà queste voglie, guardando dal treno.

 

 


Gente che non capisce compare nella raccolta poetica Lavorare stanca, del 1936.

Puoi trovare questa e altre poesie di Cesare Pavese in diverse edizioni, ma le migliori sono le Einaudi, visto anche il legame importante tra l’autore e l’editore.

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