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Antenati | Poesia di Cesare Pavese

Pubblichiamo per esteso la poesia Antenati, di Cesare Pavese, contenuta in Lavorare stanca (1936).

Antenati

Stupefatto del mondo mi giunse un’età

che tiravo gran pugni nell’aria e piangevo da solo.

Ascoltare i discorsi di uomini e donne

non sapendo rispondere, è poca allegria.

Ma anche questa è passata: non sono più solo

e, se non so rispondere, so farne a meno.

Ho trovato compagni trovando me stesso.

 

Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto

sempre in uomini saldi, signori di sé,

e nessuno sapeva rispondere e tutti eran calmi.

Due cognati hanno aperto un negozio – la prima fortuna

della nostra famiglia – e l’estraneo era serio,

calcolante, spietato, meschino: una donna.

L’altro, il nostro, in negozio leggeva romanzi

– in paese era molto – e i clienti che entravano

si sentivan rispondere a brevi parole

che lo zucchero no, che il solfato neppure,

che era tutto esaurito. È accaduto più tardi

che quest’ultimo ha dato una mano al cognato fallito.

 

A pensar questa gente mi sento più forte

che a guardare lo specchio gonfiando le spalle

e atteggiando le labbra a un sorriso solenne.

È vissuto un mio nonno, remoto nei tempi,

che si fece truffare da un suo contadino

e allora zappò lui le vigne – d’estate –

per vedere un lavoro ben fatto. Così

sono sempre vissuto e ho sempre tenuto

una faccia sicura e pagato di mano.

 

E le donne non contano nella famiglia.

Voglio dire, le donne da noi stanno in casa

e ci mettono al mondo e non dicono nulla

e non contano nulla e non le ricordiamo.

Ogni donna c’infonde nel sangue qualcosa di nuovo,

ma s’annullano tutte nell’opera e noi,

rinnovati così, siamo i soli a durare.

Siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori

– noi, gli uomini, i padri – qualcuno si è ucciso,

ma una sola vergogna non ci ha mai toccato,

non saremo mai donne, mai schiavi a nessuno.

 

Ho trovato una terra trovando i compagni,

una terra cattiva, dov’è un privilegio

non far nulla, pensando al futuro.

Perché il solo lavoro non basta a me e ai miei,

noi sappiamo schiantarci, ma il sogno più grande

dei miei padri fu sempre un far nulla da bravi.

Siamo nati per girovagare su quelle colline,

senza donne e le mani tenercele dietro alla schiena.

 

 


Antenati compare nella raccolta poetica Lavorare stanca, del 1936.

Puoi trovare questa e altre poesie di Cesare Pavese in diverse edizioni, ma le migliori sono le Einaudi, visto anche il legame importante tra l’autore e l’editore.

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